von Balthasar e la Nouvelle Théologie

pubblicato in Communio, n.105, mag/giu 1989, pp.108/121.

Il presente contributo non intende, nemmeno lontanamente, proporsi di esaurire l'argomento della formazione intellettuale di von Balthasar e nemmeno quello di delineare un quadro della cosiddetta Nouvelle Théologie nella sua interezza. Più modestamente ci riproponiamo di evidenziare alcuni tratti salienti di quest'ultima, nella misura in cui essa ha costituito uno degli afferenti (non l'unico, ma nemmeno l'ultimo) della maturazione teologica del pensatore di Basilea.

In primo luogo dunque situeremo la “Nouvelle Théologie” nel contesto culturale e teologico contemporaneo, definendone poi le linee portanti. Vedremo poi come e in che misura essa sia stata integrata nella sintesi di Von Balthasar e concluderemo con qualche riflessione personale.

1. La Nouvelle Théologie fiorisce nei decenni centrali del nostro secolo intorno alla figura di Henri de Lubac, distaccandosi dall'impostazione razionale-sistematica della neoscolastica e riscoprendo nella teologia patristica un'impostazione pienamente attuale e più capace anzi di dialogare con l'umanità contemporanea.

Non si trattò di uno sviluppo indolore, dato che la teologia neoscolastica allora dominante, sicura dell'appoggio dei vertici ecclesiastici, contrastò con asprezza il sorgere di una impostazione rivale, che essa vide non solo come irriducibilmente alternativa a sé, ma addirittura come pericolosa per la stessa saldezza dogmatica della Chiesa. Per altro la stessa Nouvelle Théologie si poneva nell'alveo di movimenti teologici che avevano contestato piuttosto in profondità il neotomismo, o che comunque da esso si discostavano in misura non indifferente, ed essa stessa dava un giudizio complessivamente negativo della vicenda culturale cattolico-moderna, egemonizzata dal tomismo dei grandi commentatori controriformisti. Più specificamente è possibile rintracciare degli antecedenti della Nouvelle Théologie nel pensiero di j. H. Newman e della scuola di Tubinga, per quanto concerne l'ottocento, e nella filosofia dell'azione di Blondel (come pure nelle tesi di Ollé-Laprune, e più in genere, dello spiritualismo cattolico francese), per quanto concerne il Novecento.

Più controverso sarebbe definire il rapporto tra Nouvelle Théologie e modernismo, che per il grande accusatore della Scuola di Lione, padre Garrigou Lagrange, sarebbe stato forte ed evidente 1 Soprattutto in “La Nouvelle Théologie où va-t'elle?”, Angelicum, 1946, pp. 126/45. La risposta a tale quesito era infatti: “vers le Modernisme”, a motivo di una sua sostanziale accettazione del relativismo contemporaneo.. è certo comunque che l'atteggiamento che caratterizzò il modernismo in senso specifico, quello ufficialmente condannato dal Magistero con la Pascendi, era nettamente diverso da quello più equilibrato e senza riserve docile all'autorità della Chiesa, che contraddistinse il gruppo dei lionesi. Anche se è altrettanto vero che molte delle istanze, a cui i modernisti davano delle risposte incompatibili con l'ortodossia, vennero riprese dalla Nouvelle Théologie, che tentò di rispondervi in spirito di fedeltà alla grande Tradizione cattolica e di devozione alla Chiesa. La differenza era in fondo questa, che per i modernisti il problema primo era il dialogo col moderno, l'apertura al pensiero contemporaneo; per la Nouvelle Théologie invece il problema centrale era riscoprire la piena identità del Cristianesimo, il che soltanto ne avrebbe poi permesso una efficace e non riduttiva “ attualizzazione”. In comune peraltro i due movimenti teologici, ebbero la percezione di una grave scollatura tra la Chiesa e l'umanità contemporanea, di una reciproca incomprensione, la cui responsabilità non poteva interamente attribuirsi a una cattiva volontà del secondo fattore, ma almeno in (buona) parte, ad una inadeguata modalità di porsi del primo.

Proprio su questo punto troviamo in netto disaccordo l'impostazione neotomista, che “stretta d'assedio” da filosofie soggettivistiche ed immanentistiche, ed in quanto tali anticristiane, si era spesso irrigidita in una condanna senza appello del pensiero moderno, o quantomeno, dominata da una preoccupazione autodifensiva, non aveva saputo completamente valorizzare gli elementi positivi. La crisi modernista ebbe tra l'altro come effetto quello di rafforzare tale situazione di arroccamento, favorendo una tendenza al sospetto, e alla stigmatizzazione nei confronti dei tentativi teologici che si allontanassero dall'ortodossia tomista.Tuttavia fu proprio all'interno del “mondo tomista”, se così possiamo dire, che si sviluppò una serie di ricerche e di innovazioni che in qualche modo prepararono la strada alla Nouvelle Théologie, permettendole di dare una risposta genuinamente cattolica (e non inficiata dunque di “cedimento” al moderno immanentistico) alle domande e alle esigenze che il modernismo aveva più giustamente sollevato. Alludiamo ai lavori del p. A. Gardeil2 In particolare ne Le Donné Révelé et la Théologie, Paris 1910, il padre Gardeil evidenziava la necessità che il lavoro teologico si commisurasse e fosse in qualche modo omogeneo al Dato rivelato, essenzialmente storico-concreto, e non esaurientemente scomponibile in assenti astratti. Analoga impostazione circa il problema dello sviluppo dogmatico avrebbe assunto di lì a poco il p. Marin Sola ne La Evolucion Homogenea del Dogma Catolico, Madrid 1923., del p. Rousselot3 In “Les yeux de la Foi ”, Rech. sc. rel., 1910 e ne L'Intellectualisme de Saint Thomas, Paris 1908, il giovane gesuita francese documentò come in S. Tommaso fosse presente quella dinamica volitivo-esistenziale, a proposito dell'atto di Fede, come più in generale della vita cristiana che i suoi commentatori moderni avrebbero ampiamente trascurato.', nei primi decenni del secolo, e poi a quelli della Scuola di Le Saulchoir4 Su questa Scuola Cfr. M.D. Chénu, Le Saulchoir, una scuola di Teologia, ed. Marietti, Casale M. 1982, traduzione del volumetto, stampato ad uso intemo nel 1937, Une école de Théologie. Le Saulchoir.: si trattava di buoni conoscitori del pensiero di S. Tommaso d'Aquino, che essi sottraevano all'interpretazione unilateralmente intellettualistica, e troppo spesso incline a un certo naturalismo, invalsa in epoca moderna e perdurante senza grosse modifiche anche nel neotomismo contemporaneo. Ne usciva un'immagine nuova del tomismo, meno “neotomistica” e più compatibile con S. Agostino e la Patristica. La dimensione storica e vitale del Cristianesimo riacquistava un giusto spessore, la fede era concepita come adesione all'uomo concreto nella sua globalità alla Persona di Cristo (e non più come un assenso intellettuale a verità impersonali), la teologia come autoesplicazione della Fede da parte di un soggetto vitalmente radicato in Cristo, piuttosto che come un'applicazione (in qualche modo estrinseca) della sistematicità razionale a un dato rivelato concepito quale inerte oggetto.

Il lavoro di tali ambiti intellettuali fu però importante per la Nouvelle Théologie non solo in quanto aiutava a superare un certo tipo di Interpretazione dell'Aquinate, ma in quanto inoltre operava una relativizzazione, anzitutto storica ma ultimamente anche teoretica, della sintesi di S.Tommaso. La quale poteva ora essere considerata non più come l'epifania definitivamente valida e intangibile dell'intero spettro della verità metastorica, bensì, più modestamente, come un contributo vero e utile ma pur sempre parziale ad una riflessione teologica sviluppantesi nella storia, la cui tensione è ad una totalità vivente, che nessun sistema particolare può pretendere di circoscrivere esaurientemente. La Nouvelle Théologie fiorì infatti nutrendosi piuttosto della Patristica che di S.Tommaso, verso il quale peraltro non ebbe nessun atteggiamento di rifiuto e nemmeno di disprezzo. Si trattava però di un “anche” e non più di un “ solo” S. Tommaso.

In particolare era fuori discussione il valore oggettivo della conoscenza umana; solo non si doveva esagerare con ottimismo razionalistico la portata misconoscendone il carattere situato, limitato da contingenze storico-concrete. Fuori discussione era pure il valore della ragione concettuale: solo esso non andava affermato a esclusione di altri fattori conoscitivi, quali la connaturalità, il simbolismo; e più in generale la ragione, riteneva la Nouvelle Théologie, poteva attingere la pienezza del suo compito solo se innestata nel concreto dinamismo affettivo-volitivo del soggetto. Nessuna negazione, poi, della distinzione tra ordine naturale e ordine soprannaturale, ma neppure nessuna separazione. Lo stesso dottor Angelico parlando di “desiderium naturale videndi Deum ” aveva teorizzato un legame tra i due ordini, per l'inserzione nel primo di una domanda a cui soltanto il secondo può di fatto rispondere 5 Cfr. H. de Lubac, Il mistero del Soprannaturale, tr. it. Jaca Book, Milano 1978, cap. 5, passim e in particolare pp. 154-61 per quanto concerne l'aspetto teoretico del problema. Sulla ricostruzione storiografica del pensiero di S. Tommaso in merito cfr. Agostinismo e teologia moderna, tr. it. Jaca Book, Milano 1978, passim.. Tuttavia i fautori del neotomismo, come già abbiamo ricordato, non si lasciarono convincere dalle ragioni dei “Nouveaux” e diedero loro una (temporaneamente) vittoriosa battaglia6 L'enciclica Humani Generis (1950), che pure non menzionava i teologi della Scuola di Lione (condannando un “relativismo dogmatico”, uno “storicismo”, un “evoluzionismo” che non è possibile rintracciare nel loro pensiero), fu letta da alcuni neotomisti, in-primis Garrigou-Lagrange, come una sconfessione ufficiale del tentativo di riforma teologica da essi intrapreso. Gli stessi superiori della Compagnia di Gesù si piegarono a tale interpretazione e allontanarono bruscamente de Lubac dalla cattedra di Lione. Una piena riabilitazione si avrà solo con il Concilio.. Ma non è qui il luogo per sviluppare un discorso su tale controversia, che riprenderemo peraltro in sintesi nella conclusione.

Bisogna invece dire che quello che importava ai “Nouveaux” non era assimilare acriticamente tesi e giudizi del pensiero moderno, ma piuttosto riscoprire in tutta la sua freschezza, originalità e imponenza quel Cristianesimo che troppo spesso la mediazione “tomistica” dei secoli moderni aveva ridotto ad un insieme di verità astoriche e di precetti morali. Per questo era soprattutto alla Patristica che essi si rivolgevano per tomare a guardare al Cristianesimo come Avvenimento storico, imprevedibile e totalizzante, in cui il Dio Unitrino ricrea l'uomo facendo “ nuove tutte le cose”.

Così in questi decenni centrali del nostro secolo, al cui interno si situano anche gli anni in cui von Balthasar attinse alla linfa della Scuola di Lione, de Lubac, andava lavorando alla costruzione di un nuovo sguardo teologico sul rapporto natura/soprannaturale7 L'opera più importante a questo riguardo è Surnaturel (Aubier, Paris 1946). In essa de Lubac documentava come la separazione tra ordine naturale e ordine soprannaturale non fosse di S. Tommaso, ma dei suoi commentatori moderni (il Gaetano, Banez, Suarez, Bellarmino) e come, d'altra parte, la confusione tra i medesimi fosse non di S. Agostino, ma dei suoi epigoni moderni (Baio e Giansenio). Risalire dunque al vero Tommaso (che pure troppo concedeva alla natura) e al vero Agostino (che, pure, troppo poco alla medesima natura concedeva) era visto come la condizione per un'autentica sintesi cattolica., superando l'estrinsecismo naturalistico moderno e ridando al soprannaturale la centralità e l'assolutezza che gli spettavano; sulla Chiesa8 In questo periodo l'opera più incisiva di de Lubac fu Catholicisme (du Cerf, 1983) seguita, di lì a sei anni da Corpus Mysticum (Aubier)., non più soprattutto quale struttura giuridico-istituzionale, ma quale vivente Mistero, sull'Eucarestia e sul Simbolismo. Attorno a tale figura centrale gli altri giovani teologi gesuiti iniziarono ad operare per il “Rinnovamento nella Tradizione”: Gaston Fessard soprattutto sul versante sociale e politico, in un confronto serrato con il pensiero dialettico e il marxismo; Henri Bouillard su quello della conoscenza religiosa, sviluppando la tesi delubachiana della non esaustività della ragione concettuale; Jean Daniélou a sua volta, rivolgendo il suo interesse al rapporto Cristianesimo/Storia.

2. All'interno di tale ambito la figura di von Balthasar si presentava per molti aspetti anomala: vuoi per i suoi precedenti studi letterari, in cui si era potuta esprimere quella sensibilità per la bellezza, che ne caraterizzerà stabilmente il pensiero; vuoi per la sua formazione intellettuale anteriore avvenuta in contesto filosofico germanico; vuoi soprattutto per la genialità del pensatore, che se assimilerà tutto quanto poteva, nera Nouvelle Théologie, assimilare, non ne sarà comunque interamente determinato. Ciò premesso, cercheremo di enucleare alcune tematiche di cui il teologo di Basilea sarà debitore, in qualche modo, alla Nouvelle Théologie.

Anzitutto l'impostazione metodologica. è noto che una delle tesi più geniali di von Balthasar è consistita nel ribaltare la tradizionale impostazione, in fondo di origine ellenica, che scandisce in successione prima il vero, poi il bene e solo infine il bello 9 Così in Aristotele le scienze teoretiche precedono quelle pratiche e quelle poietiche, ma così anche in Kant la Ragion Pura precede quella pratica e solo da ultimo viene il Giudizio riflettente; similmente anche in Hegel il logos concettuale è l'Alfa e l'Omega dell'intero reale. Anche se è poi vero che, per quanto riguarda Kant, il Giudizio viene ad assumere un'importanza notevole quale ponte tra una teoresi forzatamente circoscritta al fenomenico e prassi ciecamente sospesa al noumenico, e tale idea di una percezione dell'epifania estetica del noumenico nel fenomenico ha verosimilmente influenzato von Balthasar.. E ciò in quanto tale impostazione presupponeva non tanto una contemplazione disinteressata, “ingenua”, immediata dell'essere, che von Balthasar non nega, quanto che la forma originaria di essa fosse concettuale-discorsiva. Ciò che viene prima, per il teologo svizzero, non è certo l'azione (il “bene”), ma neppure una contemplazione puramente razionale (un “vero” meramente logico). è piuttosto la contemplazione del bello, cioè del Vero totale fulgidamente emergente in un concreto.

è innegabile che tale concezione trovi le sue radici, oltre che nella personale genialità del teologo svizzero, come pure nella sua vasta cultura artistico-letteraria, soprattutto nel filone culturale germanico10 Pensiamo ad esempio all'estetica dello stesso Kant, di Hölderlin, di Goethe, di Schelling, in qualche modo anche di Hegel (cfr. Nello spazio della Metafisica: l'epoca moderna, vol. 5 di Gloria, tr. it. Jaca Book, Milano 1978, pp. 271 e segg. e pp. 459-524).. D'altra parte ci pare altrettanto innegabile che esistono delle strette affinità tra la critica della Nouvelle Théologie all'inaridimento di una teologia affidata pressoché interamente al lavorio della ragione concettuale-discorsiva, e la tesi di von Balthasar della insufficienza di un vero puramente logico-razionale. Se non è innestato in una percezione concreta, un vero astratto non vincola l'uomo. Se la verità viene strappata dalla bellezza gli “argomenti in suo favore (... ) hanno esaurito la loro forza di conclusione logica: i sillogismi cioè ruotano secondo il loro ritmo prefissato, come delle macchine rotative o dei calcolatori elettronici che devono sputare un determinato numero di dati al minuto, ma il processo che porta alla conclusione è un meccanismo che non inchioda più nessuno e la stessa conclusione non conclude più ”11 In La percezione della forma, vol. 1° di Gloria, Jaca Book, Milano 1975, p. 11..

Certo implicitamente questa tesi è un leit-motiv della tradizione agostiniana, per cui la verità totale non può essere abbracciata dalla sola conoscenza razionale, senza la buona disposizione della volontà, ovvero non si può davvero conoscere ciò che non si ama, e la suprema sapienza non è perciò separabile dalla santità. Da S. Agostino a S. Anselmo, dai Padri greci a S. Bonaventura, un coro unanime di teologi ribadisce, pur in diverse modalità espressive, questo medesimo concetto, che nemmeno S. Tommaso del resto ignora12 Sul rapporto intelletto-volontà cfr. S. Th. Ia, q.82, a3 e a.4, e anche Ia IIae, q.58, a.5; IIa IIae, q.162, a.3, ad I; IIa IIae, q. 45 a.4.. La verità dunque, soprattutto quella relativa alle supreme domande, non è un affare di tecnica razionale, di ingegneria concettuale, ma può essere attinta solo da un coinvolgimento di tutto il concreto soggetto, mente e cuore.

Certo, ancora, questa tesi era meno remotamente suggerita al pensatore di Basilea anche dalla denuncia fatta da un Romano Guardini di quella malattia dell'umana conoscenza che è l'astrattezza, cioè la separazione del pensiero (il “vero”) dall'esperienza concreta, e dal suo maestro Erich Przywara, nella cui sintesi la struttura dialettica del procedere era funzionale ad una vitale adesione del pensiero al concreto13 Cfr. von Balthasar, Il filo di Arianna attraverso la mia opera, tr. it. jaca Book, Milano 1980, pp. 43-4..

Ma non fu un caso comunque che von Balthasar fu tra gli autori coinvolti nell'attacco sferrato nel 1946 dal Labourdette, neotomista di stretta osservanza, con cui iniziavano, se così possiamo dire, le ostilità tra i due fronti, ai quali abbiamo sopra accennato14 Tale disputa fu aperta dall'articolo “La Théologie et ses Sources (in Revue Thomiste, 1946, II, pp. 353-71) del predetto p. Michel Labourdette O.P. I lionesi risposero con un articolo dal medesimo titolo apparso sulle Recherches de Science religieuse (IV) 1946, pp. 385-401, a cui Labourdette controreplicò con un saggio, “ De la critique en théologie”, all'interno di un volumetto, Dialogue théologique (St. Maximin, 1947), che ripubblicava anche i due precedenti articoli.
Alle pesanti accuse dei domenicani i lionesi rispondevano con puntualità, respingendo il sospetto di relativismo come arbitrario e infondato. t interessante notare come nelle accuse dei neotomisti vi fossero delle trasparenti allusioni alla concezione “ estetica” del von Balthasar, che avrebbe portato a concepire per la teologia la stessa mutabilità degli “stili” architettonici.
. Il che significa che almeno nega sua pars destruens, di avversione all'astrattezza razionalistica, il giovane teologo svizzero si immedesimava nella impostazione della Nouvelle Théologie anche nelle sue motivazioni specifiche. Non poteva del resto essere altrimenti, dato che era proprio nell'ambito della medesima Nouvelle Théologie che si era iniziato a delineare sistematicamente la configurazione di una teologia esistenzialmente impegnata, rivolta alla concretezza dell'uomo, mentre oltre il Reno gli spunti in tal senso erano soprattutto esercitati a livello di filosofia.

Scendendo più in dettaglio, tale istanza aveva due fondamentali modalità di attuazione: la riscoperta del pensiero patristico, in cui il vero non era concepito come logicità astratta, ma come concreto e affascinante, e la capacità “cattolica” di leggere la presenza (riconosciuta o semplicemente ricercata) del medesimo Centro, irradiante nell'ambito il più vasto possibile delle molteplici, storico-concrete, espressioni culturali umane.

Entrambe queste modalità vedono assimilato von Balthasar alla Scuola di Lione: pressoché interamente la prima, almeno in misura non esigua la seconda. Per quanto concerne i Padri, non vi sono dubbi, è lo stesso teologo svizzero a riconoscerlo esplicitamente15 In Il filo di Arianna, cit., p. 6.: fu de Lubac a introdurlo in tale mondo teologico. E von Balthasar consacrerà proprio a tre dei più grandì Padri greci, Origene, S. Gregorio di Nissa e S. Massimo il Confessore16 In ordine di tempo Kosmische Lìturgie, Herder, Friburgo 1941 (tr. it. Liturgia cosmica, ed. A.V.E., Roma 1976) su S. Massimo; Présence et Pensée, Beauchesne, Parigi 1942, su S. Gregorio; Parole et Mystère chez Origène, du Cerf, Parigi 1957 (tr. it. in Il mondo, Cristo e la Chiesa, Jaca Book 1972). alcuni dei più importanti studi del suo primo periodo di produzione. Di più: come rilevano concordi i suoi interpreti, la forma mentis patristica sarà da lui vitalmente, originalmente e stabilmente fatta propria. Per unanime riconoscimento von Balthasar dimostrerà una attitudine sorprendente ad attualizzare e quasi far rivivere, in modo non servile o ripetitivo, ma creativo lo sguardo teologico dei Padri della Chiesa. La sua consonanza con de Lubac, a questo proposito, non fu solo materiale, relativa all'oggetto, ma anche nell'intento, che animava l'interesse per la Patristica. Non si trattava di fare dell'archeologia teologica, con erudite ricerche filologiche, come ben videro i neotomisti che censurarono il loro progetto, bensì di riscoprire da un lato la pienezza sorgiva della identità cristiana, per essere d'altro lato più capaci di valorizzare, senza modernistici cedimenti, qualunque sprazzo di apertura ad essa si presentasse nell'umano, nel contemporaneo17 Tale ordine di priorità fu posto inequivocabilmente fin dall'inizio: cfr. J.M. Faux, “Un théologien: H.U. von Balthasar”, Nouv. Rev. Théol., dic. 1972, pp. 1019-21. Punti di incontro tra la mentalità contemporanea e la Patristica erano poi visti nella simile preoccupazione esistenziale, e nel conseguente linguaggio, aperto al simbolo e all'allusività, nell'importanza attribuita alla componente affettiva, nella sensibilità alla dimensione storica (Cfr. tra l'altro j. Daniélou, “Les orientations présents de la pensée religieuse”, Etudes, aprile 1946).
Cfr. J.M. Faux, art. cit., pp. 1009-15. Né va dimenticato che il primo Libro di von Balthasar fu appunto una rivisitazione del pensiero tedesco: Apokalypse der deutschen Seele, 3 voll. Salzburg 1937.
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Si inserisce qui l'altro elemento, la capacità di far parlare a testimonianza dell'unica Verità e Bellezza una moltitudine di testimoni, molti dei quali non furono cristiani, e che normalmente la storiografia “esatta” tende a collocare in compartimenti stagni 18 Si potrebbe forse parlare di metodo antologico a questo proposito, purché non si dimentichi che i molti fiori che fanno ghirlanda attorno al Logos centrale non sono stati ingenuamente colti nella loro immediatezza, ma hanno più o meno tutti subito un trattamento. Fuor di metafora von Balthasar ha per ognuno di essi, filosofo o drammaturgo, poeta o teologo, santo o artista, scavato oltre una immediatezza ovvia, alla ricerca di ciò che essi profondamente potevano esprimere, dimostrando con ciò non una scorrettezza, ma una genialità ermeneutica..

è vero che già altri autori, nel filone teologico germanico, avevano dato illustri esempi di tale metodo, non sistematico e policentrico (pensiamo ad esempio a J.A. Moehler e a R. Guardini). Ma lo avevano attuato solo con riletture di personalità culturali cristiane. Von Balthasar invece allarga la cerchia della sua interpretazione ad autori pre- e post-cristiani: da Omero ed Esidio a Freud e la psicanalisi, da Eschilo al teatro contemporaneo, da Virgilio a Goethe, da Platone a Schelling, Hegel, Heidegger. Una tale capacità di apertura il giovane teologo svizzero non l'aveva forse trovata proprio in de Lubac, studioso attento e non preconcetto del buddismo, dell'umanesimo ateo occidentale, di Proudhon? Invece di chiudersi, come un certo neotomismo, nella torre d'avorio di verità astratte e astoriche non interagenti con i problemi del tempo attuale, il maestro della Nouvelle Théologie insegnava un confronto cordiale e spassionato con la cultura non cristiana, a partire dalla certezza che tutto quanto di positivo esiste appartiene alla signoria del Verbo.

Un discorso troppo lungo meriterebbe l'esame delle possibili tesi filosofiche, di una filosofia peraltro tutta implicita e appena abbozzata, che il teologo svizzero avrebbe potuto ereditare da de Lubac e dalla Nouvelle Théologie. Anche se appare evidente che il maggior afferente filosofico di von Balthasar va ricercato ancora una volta nell'area tedesca, soprattutto per il tramite di Przywara e di Siewerth19 Cfr. JM. Faux, art. cit., pp. 1009-15. Né va dimenticato che il primo libro di von Balthasar fu appunto una rivisitazione del pensiero tedesco: Apokalypse der deutschen Seele, 3 voll. Salzburg 1937., esistono delle importanti affinità tra le implicite filosofie, se così possiamo chiamarle, di de Lubac e del teologo di Basilea. Ci limitiamo ad accennare ad una di esse, che ci sembra particolarmente significativa, quella dell'unità “ dialettica” dell'essere.

Per entrambi i teologi il filone metafisica privilegiato è, piuttosto che quello fondato sull'unità “semplice”, statica dell'essere, di matrice aristotelica, quello che considera l'intima tensione dell'essere, la cui unità è complessa, dinamica 20 Pensiamo ad autori come Eraclito, il Platone del Sofista, molto neoplatonismo tardoantico, lo stesso Massimo il Confessore, Cusano e, in un certo senso, Hegel.. Tale interna increspatura dell'essere nell'ente finito è funzionale, per i teologi cattolici, ad un rinvio al “Deus semper maior”; laddove una metafisica imperniata su una aristotelicamente “tranquilla” unità dell'essere arresterebbe lo sguardo teoretico ad una appagante non-contraddittorietà del finito. In questa prospettiva è difficile non scorgere delle affìnità tra l'idea guardiniana di “tensione polare”, quella delubachiana di paradosso come sintesi antinomica, e l'impianto dialettica soggiacente al discorso balthasariano, a partire dal suo iniziale interesse per quel Massimo il Confessore, nel cui pensiero i concetti di tensione e di sintesi giocano un ruolo fondamentale 21 Cfr. in Liturgia cosmica, tr. it. cit., testi come “Dialettica della trascendenza (pp. 71-5), “Dialettica dell'ignoranza” (pp. 76-82), l'intero capitolo terzo, in cui si tratta delle Sintesi di essere e movimento, universale e particolare, soggetto e oggetto, spirito e materia, e i capitoli quinto (“La sintesi del Cristo”) e sesto (“Le sintesi spirituali”)..

Venendo poi a considerare qualche contenuto teologico, non possiamo non menzionare, sia pure come accenno, alla sostanziale affinità nel modo di concepire unitariamente il rapporto tra ordine naturale e soprannaturale. De Lubac diede, a questo riguardo, un contributo decisivo per la teologia del nostro tempo, e von Balthasar assimilò pienamente la tesi del maestro, superando in una visione d'insieme grandiosa quel dualismo che aveva nei secoli moderni dominato la teologia cattolica e per il quale il soprannaturale finiva col diventare una decorazione aggiuntiva ad un ambito naturale già in sé compiuto22 Cfr. H. de Lubac Agostinismo e teologia moderna, cit., pp 151 e segg. L'analisi è condotta in particolare sul “desiderium naturale videndi Deum”, affermato da S. Tommaso (oltre che, ovviamente dalla Patristica e dall'Alto Medioevo) e negato dalla Scolastica moderna. La quale ritenne normativo anche del rapporto con l'infinito il principio cosmologico aristotelico (esposto nel De Coelo) della necessaria proporzione del fine con la natura di un dato ente; per cui era inammissibile che una creatura avesse iscritta in sé una tensione ad un Fine a lei incommensurabile. Di qui scaturiva che una felicità “puramente naturale” (ancorché principalmente spirituale) poteva saziare il cuore dell'uomo (ibi, pp. 238 e segg.).. Riplasmando in sintesi creativa le analiticamente pazienti, ma anche lucidamente mirate ricerche di de Lubac, von Balthasar evidenze come l'unità/distinzione tra i due ordini possa essere compresa soltanto nella Persona sintetica, divinoumana, del Cristo: ogni discorso facente appello ad una “natura pura” risulta così astratto. Neanche un lembo del reale creato si sottrae al grande dramma della libertà finita di fronte al Dio Unitrino rivelantesi e partecipantesi come Amore misericorde nel Verbo23 Cfr. tra l'altro Spiritus creator, tr. it. Morcelliana, Brescia 1983, pp. 92 e segg..

Né vi è in ciò alcun soprannaturalismo, alcuna confusione di piani24 Non a caso una delle prime opere di von Balthasar, come già abbiamo ricordato, fu dedicata proprio a S. Massimo il Confessore, che aveva strenuamente difeso la persecuzione e la tortura, pur di non tradire Calcedonia a favore di quel monotelismo che finiva con l'assorbire il naturale nel soprannaturale.. Lo stesso de Lubac lo aveva dimostrato con estrema chiarezza, anche se non pochi hanno parlato e parlano di lui come se la sua prospettiva fosse soggettivisticamente “esigenzialistica”25 Cfr. Il mistero del soprannaturale, Jaca Book, Milano 1978, pp. 134-62. Ad esempio: “L'offerta del dono soprannaturale non è una semplice sequela creationis (... ): se la prima è una grazia contingente, diremo che la seconda è super-contingente” (p. 141). Non è quindi la natura ad esigere la grazia, come malevolmente avevano segnalato i censori della Nouvelle Théologie, ma è Dio che nel suo eterno presente non “cambia progetto” circa il destino dell'uomo, ma dispone fin dall'inizio l'ordinazione del livello naturale al soprannaturale quale suo unico fine concreto. Così “ogni iniziativa è e resta di Dio”, che liberamente ha scelto tale Disegno unitario (p. 155).. Del resto è proprio in questa concezione unitaria che trova il suo fondamento la capacità “cattolica”, di cui più sopra abbiamo parlato. Ora, sarebbe un soprannaturalismo ben strano questo, che valorizza con instancabile passione ogni positività presente nel Mondo, anche in quanti sono, almeno come consapevolezza, assai lontani dalla Fede.

Più arduo sarebbe cercare una derivazione della cristologia balthasariana dalla Nouvelle Théologie. Ma vi è, anche qui, almeno un elemento comune rintracciabile piuttosto nettamente. Si tratta della rivalutazione della componente deificatrice, accanto a quella espiativa, nella missione del Verbo incarnato. Una tesi che, se non risalta con clamorosa ridondanza, non è perciò meno presente nel gesuita di Cambrai (la cui cristologia è peraltro, com'è noto, poco sviluppata sistematicamente)26 De Lubac era in ciò in profonda consonanza con Yves de Montcheuil, il il quale, ad esempio nelle Leçons sur le Christ (ed. de l'Epi, Parigi 1949) in particolare alle pp. 81-5, affermava che “ciò che spiega l'Incarnazione del Verbo èil fare di noi dei figli di Dio. (...) noi non vi riconosciamo un semplice ruolo di riparazione del peccato ” (p. 84). La presenza di tale componente si estende da un capo all'altro della produzione di de Lubac, a partire da Catholicisme fino alla Petite catéchèse sur Natura et Grace, in cui alla grazia, rimedio alla natura decaduta,, è anteposto il soprannaturale, termine ultimo, che solo può rendere ragione della creazione del finito (cfr. pp. 69-72 della tr. it., in Spirito e libertà, jaca Book, Milano 1981)..

Con maggior compiutezza von Balthasar assimila e sviluppa le implicazioni di questa dimensione, di cui erano nutriti i Padri greci, e che la Scolastica dei secoli moderni ha trascurato. Significativamente la prima opera cristologica del teologo svizzero si intitola Verbum caro, e nello spirito del Prologo di S. Giovanni il Cristo viene presentato come la manifestazione della Gloria del Padre. Così pure nella Teodrammatica il significato della Croce è, oltre e più ancora che espiatorio (del peccato umano da parte dell'uomo Gesù), rivelativo (della Carità infìnita del Dio unitrino da parte del Verbo incarnato).

Macroscopiche sono, infine, le affinità delle visioni ecclesiologiche. Comune è il superamento di una concezione tendenzialmente naturalistica della Chiesa, come apparato giuridico-organizzativo, connessa alla teologia nazionalistica moderna. E comune è la riproposizione di una immagine di una Chiesa vivente, organismo soprannaturale in cui l'umano inizia ad essere trasfigurato per la presenza del Cristo e dello Spirito27 Esistono, certo, delle diverse sottolineature: in de Lubac, che accentua la caratteristica della Chiesa come luogo della Presenza, la dialettica tra polarità (apparentemente antinomiche, come particolarità/universalità, storicità/eternità, giustizia/misericordia, etc.) si istituisce soprattutto al suo interno. Mentre von Balthasar, per il quale la Chiesa è anzitutto “Sponsa Verbi”, imperniata intorno al sì di Maria, dà più spazio alla dialettica Cristo/Chiesa..

3. Le teologie di de Lubac e von Balthasar, “nouvelles” nei decenni centrali del nostro secolo, non sono più da tempo oggetto di contestazioni aperte “di destra”. Nonpertanto esse non sono riuscite ad imporsi nell'ambito della teologia cattolica, che appare in gran parte ancora minata dagli sbandamenti e dalle incertezze post-conciliari.

Riprendendo la questione, cui abbiamo accennato nel primo paragrafo, chiediamoci: si può imputare alla Nouvelle Théologie la responsabilità di aver sradicato la vecchia quercia del tomismo senza avervi saputo sostituire una valida alternativa, col risultato di favorire una incontrollabile fioritura di erbacce? Fuori discussione sono le intenzioni dei “nouveaux”, anche per i loro critici più severi. Ma, oggettivamente, non hanno essi aperto la strada al relativismo, mettendo in discussione la ragione concettuale; allo storicismo, abbattendo la concezione metastorica della teologia; al concordismo irenistico, proclamando l'apertura cattolica della Chiesa alle culture extraeuropee; al permissivismo etico, scalzando il primato della legge morale in nome di una dinamica concreta della Grazia?

Crediamo di poter rispondere di no. La loro proposta, lo ripetiamo, non muoveva da una istanza di resa al moderno in quanto tale, ma piuttosto da una passione per l'avvenimento cristiano, che rende capace di incontro liberante con l'umanità propria e altrui. Dunque anzitutto riscoperta del Cristianesimo nella totalità delle sue implicazioni, e di conseguenza dialogo. Dialogo, poi, e soprattutto incontro, con l'uomo moderno non in quanto moderno, ma in quanto uomo.

Le vicende personali dei due teologi e le loro prese di posizione nel corso della loro lunga vita testimoniano più che abbondantemente il loro attaccamento alla vera fede e ad una operosa carità, come pure l'inequivocabile condanna delle deviazioni di molta teologia postconciliare, succube delle mode culturali del momento.

Né si può dire che per i “nouveaux” vi sia stato un successivo ravvedimento da un iniziale atteggiamento modernistico. Valga per tutte le questioni quella del relativismo soggettivistico (giustamente ritenuta centrale dai neotomisti degli anni Quaranta). Leggiamo quindi ciò che scriveva von Balthasar nel 1947: “La conoscenza è autentica proprio perché l'oggetto conosciuto è autentico: non si cammina sulle sabbie mobili. Si tocca il fondo stesso dell'essere. Si tratta dunque di una perfetta sicurezza derivata dall'essere, consistente nel fatto che al di là di esso si trova il nulla. Allorché prende coscienza dell'essere, il pensiero riflessivo sa di avere di fronte il soggetto ultimo di tutti i predicati possibili; sa che tutto il conoscibile gli è presente, naturalmente nella misura in cui concerne l'essere”28 Phénoménologie de la Vérité, Beauchesne, Parigi 1952, pp. 22-3; tr. francese di Wahrheit, vol. i “Wahrheit der Welt”, Benzinger, Einsiedeln 1947..

Il “bello” di cui parla von Balthasar non è dunque mai stato esclusivo del “ vero”, ma di esso inclusivo. Non una opinabile apparenza, malleabile dall'arbitrario progetto soggettivo; ma il contrassegno oggettivo del rivelarsi di Colui che è pienezza della verità e dell'essere. Analogamente dovremmo rispondere alle altre obiezioni che abbiamo sollevato.

Con questo noi non pretendiamo negare i possibili limiti dell'impostazione “ nouvelle”; verosimilmente essa ha avuto, per reazione agli eccessi del razionalismo teologico moderno, l'esito di trascurare un aggancio più sistematico con la filosofia (non dico solo il tomismo, ma almeno anche il tomismo), troppo spesso evitandone la mediazione nei rapporti con le scienze umane.

Ci pare perciò questa una delle direzioni in cui dovrebbero lavorare quanti vogliono far tesoro della predetta teologia, dimostrandone concretamente, la vitalità come capacità piuttosto integrativa che esclusiva. Ciò non sarebbe eclettismo, ma reale tensione alla totalità, garanzia di continuità e di fecondità del lavoro teologico, dentro la grande costruzione collettiva che si sviluppa nella storia, nell'attesa del ritorno di Cristo.


note

1 Soprattutto in “La Nouvelle Théologie où va-t'elle?”, Angelicum, 1946, pp. 126/45. La risposta a tale quesito era infatti: “vers le Modernisme”, a motivo di una sua sostanziale accettazione del relativismo contemporaneo.

2 In particolare ne Le Donné Révelé et la Théologie, Paris 1910, il padre Gardeil evidenziava la necessità che il lavoro teologico si commisurasse e fosse in qualche modo omogeneo al Dato rivelato, essenzialmente storico-concreto, e non esaurientemente scomponibile in assenti astratti. Analoga impostazione circa il problema dello sviluppo dogmatico avrebbe assunto di lì a poco il p. Marin Sola ne La Evolucion Homogenea del Dogma Catolico, Madrid 1923.

3 In “Les yeux de la Foi ”, Rech. sc. rel., 1910 e ne L'Intellectualisme de Saint Thomas, Paris 1908, il giovane gesuita francese documentò come in S. Tommaso fosse presente quella dinamica volitivo-esistenziale, a proposito dell'atto di Fede, come più in generale della vita cristiana che i suoi commentatori moderni avrebbero ampiamente trascurato.

4 Su questa Scuola Cfr. M.D. Chénu, Le Saulcboir, una scuola di Teologia, ed. Marietti, Casale M. 1982, traduzione del volumetto, stampato ad uso intemo nel 1937, Une école de Théologie. Le Saulchoir.

5 Cfr. H. de Lubac, Il mistero del Soprannaturale, tr. it. Jaca Book, Milano 1978, cap. 5 passim e in particolare pp. 154-61 per quanto conceme l'aspetto teoretico del problema. Sulla ricostruzione storiografica del pensiero di S. Tommaso in merito cfr. Agostinismo e teologia moderna, tr. it. Jaca Book, Milano 1978 passim.

6 L'enciclica Humani Generis (1950), che pure non menzionava i teologi della Scuola di Lione (condannando un “relativismo dogmatico”, uno “storicismo”, un “evoluzionismo” che non è possibile rintracciare nel loro pensiero), fu letta da alcuni neotomisti, in-primis Garrigou-Lagrange, come una sconfessione ufficiale del tentativo di riforma teologica da essi intrapreso. Gli stessi superiori della Compagnia di Gesù si piegarono a tale interpretazione e allontanarono bruscamente de Lubac dalla cattedra di Lione. Una piena riabilitazione si avrà solo con il Concilio.

7 L'opera più importante a questo riguardo è Surnaturel (Aubier, Paris 1946). In essa de Lubac documentava come la separazione tra ordine naturale e ordine soprannaturale non fosse di S. Tommaso, ma dei suoi commentatori moderni (il Gaetano, Banez, Suarez, Bellarmino) e come, d'altra parte, la confusione tra i medesimi fosse non di S. Agostino, ma dei suoi epigoni moderni (Baio e Giansenio). Risalire dunque al vero Tommaso (che pure troppo concedeva alla natura) e al vero Agostino (che, pure, troppo poco alla medesima natura concedeva) era visto come la condizione per un'autentica sintesi cattolica.

8In questo periodo l'opera più incisiva di de Lubac fu Catbolicisme (du Cerf, 1983) seguita, di lì a sei anni da Corpus Mysticum (Aubier).

9 Così in Aristotele le scienze teoretiche precedono quelle pratiche e quelle poietiche, ma così anche in Kant la Ragion Pura precede quella pratica e solo da ultimo viene il Giudizio riflettente; similmente anche in Hegel il logos concettuale è l'Alfa e l'Omega dell'intero reale. Anche se è poi vero che, per quanto riguarda Kant, il Giudizio viene ad assumere un'importanza notevole quale ponte tra una teoresi forzatamente circoscritta al fenomenico e prassi ciecamente sospesa al noumenico, e tale idea di una percezione dell'epifania estetica del noumenico nel fenomenico ha verosimilmente influenzato von Balthasar.

10 Pensiamo ad esempio all'estetica dello stesso Kant, di Hölderlin, di Goethe, di Schelling, in qualche modo anche di Hegel (cfr. Nello spazio della Metafisica: l'epoca moderna, vol. 5 di Gloria, tr. it. Jaca Book, Milano 1978, pp. 271 e segg. e pp. 459-524).

11 In La percezione della forma, vol. 1° di Gloria, Jaca Book, Milano 1975, p. 11.

12 Sul rapporto intelletto-volontà cfr. S. Th. Ia, q.82, a3 e a.4, e anche Ia IIae, q.58, a.5; IIa IIae, q.162, a.3, ad I; IIa IIae, q. 45 a.4.

13 Cfr. von Balthasar, Il filo di Arianna attraverso la mia opera, tr. it. jaca Book, Milano 1980, pp. 43-4.

14 Tale disputa fu aperta dall'articolo “La Théologie et ses Sources (in Revue Thomiste, 1946, II, pp. 353-71) del predetto p. Michel Labourdette O.P. I lionesi risposero con un articolo dal medesimo titolo apparso sulle Recberches de Science religieuse (IV) 1946, pp. 385-401, a cui Labourdette controreplicò con un saggio, “ De la critique en théologie”, all'interno di un volumetto, Dialogue théologique (St. Maximin, 1947), che ripubblicava anche i due precedenti articoli.
Alle pesanti accuse dei domenicani i lionesi rispondevano con puntualità, respingendo il sospetto di relativismo come arbitrario e infondato. t interessante notare come nelle accuse dei neotomisti vi fossero delle trasparenti allusioni alla concezione “ estetica” del von Balthasar, che avrebbe portato a concepire per la teologia la stessa mutabilità degli “stili” architettonici.

15 In Il filo di Arianna, cit., p. 6.

16 In ordine di tempo Kosmische Lìturgie, Herder, Friburgo 1941 (tr. it. Liturgia cosmica, ed. A.V.E., Roma 1976) su S. Massimo; Présence et Pensée, Beauchesne, Parigi 1942, su S. Gregorio; Parole et Mystère chez Origène, du Cerf, Parigi 1957 (tr. it. in Il mondo, Cristo e la Chiesa, Jaca Book 1972).

17 Tale ordine di priorità fu posto inequivocabilmente fin dall'inizio: cfr. J.M. Faux, “Un théologien: H.U. von Balthasar”, Nouv. Rev. Théol., dic. 1972, pp. 1019-21. Punti di incontro tra la mentalità contemporanea e la Patristica erano poi visti nella simile preoccupazione esistenziale, e nel conseguente linguaggio, aperto al simbolo e all'allusività, nell'importanza attribuita alla componente affettiva, nella sensibilità alla dimensione storica (Cfr. tra l'altro j. Daniélou, “Les orientations présents de la pensée religieuse”, Etudes, aprile 1946).
Cfr. J.M. Faux, art. cit., pp. 1009-15. Né va dimenticato che il primo Libro di von Balthasar fu appunto una rivisitazione del pensiero tedesco: Apokalypse der deutschen Seele, 3 voll. Salzburg 1937.

18 Si potrebbe forse parlare di metodo antologico a questo proposito, purché non si dimentichi che i molti fiori che fanno ghirlanda attorno al Logos centrale non sono stati ingenuamente colti nella loro immediatezza, ma hanno più o meno tutti subito un trattamento. Fuor di metafora von Balthasar ha per ognuno di essi, filosofo o drammaturgo, poeta o teologo, santo o artista, scavato oltre una immediatezza ovvia, alla ricerca di ciò che essi profondamente potevano esprimere, dimostrando con ciò non una scorrettezza, ma una genialità ermeneutica.

19 Cfr. JM. Faux, art. cit., pp. 1009-15. Né va dimenticato che il primo Libro di von Balthasar fu appunto una rivisitazione del pensiero tedesco: Apokalypse der deutschen Seele, 3 voll. Salzburg 1937.

20 Pensiamo ad autori come Eraclito, il Platone del Sofista, molto neoplatonismo tardoantico, lo stesso Massimo il Confessore, Cusano e, in un certo senso, Hegel.

21 Cfr. in Liturgia cosmica, tr. it. cit., testi come “Dialettica della trascendenza (pp. 71-5), “Dialettica dell'ignoranza” (pp. 76-82), l'intero capitolo terzo, in cui si tratta delle Sintesi di essere e movimento, universale e particolare, soggetto e oggetto, spirito e materia, e i capitoli quinto (“La sintesi del Cristo”) e sesto (“Le sintesi spirituali”).

22 Cfr. H. de Lubac Agostinismo e teologia moderna, cit., pp 151 e segg. L'analisi è condotta in particolare sul “desiderium naturale videndi Deum”, affermato da S. Tommaso (oltre che, ovviamente dalla Patristica e dall'Alto Medioevo) e negato dalla Scolastica moderna. La quale ritenne normativo anche del rapporto con l'infinito il principio cosmologico aristotelico (esposto nel De Coelo) della necessaria proporzione del fine con la natura di un dato ente; per cui era inammissibile che una creatura avesse iscritta in sé una tensione ad un Fine a lei incommensurabile. Di qui scaturiva che una felicità “puramente naturale” (ancorché principalmente spirituale) poteva saziare il cuore dell'uomo (ibi, pp. 238 e segg.).

23 Cfr. tra l'altro Spiritus creator, tr. it. Morcelliana, Brescia 1983, pp. 92 e segg.

24 Non a caso una delle prime opere di von Balthasar, come già abbiamo ricordato, fu dedicata proprio a S. Massimo il Confessore, che aveva strenuamente difeso la persecuzione e la tortura, pur di non tradire Calcedonia a favore di quel monotelismo che finiva con l'assorbire il naturale nel soprannaturale.

25 Cfr. Il mistero del soprannaturale, Jaca Book, Milano 1978, pp. 134-62. Ad esempio: “L'offerta del dono soprannaturale non è una semplice sequela creationis (... ): se la prima è una grazia contingente, diremo che la seconda è super-contingente” (p. 141). Non è quindi la natura ad esigere la grazia, come malevolmente avevano segnalato i censori della Nouvelle Théologie, ma è Dio che nel suo eterno presente non “cambia progetto” circa il destino dell'uomo, ma dispone fin dall'inizio l'ordinazione del livello naturale al soprannaturale quale suo unico fine concreto. Così “ogni iniziativa è e resta di Dio”, che liberamente ha scelto tale Disegno unitario (p. 155).

26 De Lubac era in ciò in profonda consonanza con Yves de Montcheuil, il il quale, ad esempio nelle Leçons sur le Christ (ed. de l'Epi, Parigi 1949) in particolare alle pp. 81-5, affermava che “ciò che spiega l'Incarnazione del Verbo èil fare di noi dei figli di Dio. (...) noi non vi riconosciamo un semplice ruolo di riparazione del peccato ” (p. 84). La presenza di tale componente si estende da un capo all'altro della produzione di de Lubac, a partire da Catholicisme fino alla Petite catéchèse sur Natura et Grace, in cui alla grazia, rimedio alla natura decaduta,, è anteposto il soprannaturale, termine ultimo, che solo può rendere ragione della creazione del finito (cfr. pp. 69-72 della tr. it., in Spirito e libertà, jaca Book, Milano 1981).

27 Esistono, certo, delle diverse sottolineature: in de Lubac, che accentua la caratteristica della Chiesa come luogo della Presenza, la dialettica tra polarità (apparentemente antinomiche, come particolarità/universalità, storicità/eternità, giustizia/misericordia, etc.) si istituisce soprattutto al suo interno. Mentre von Balthasar, per il quale la Chiesa è anzitutto “Sponsa Verbi”, imperniata intorno al sì di Maria, dà più spazio alla dialettica Cristo/Chiesa.

28 Phénoménologie de la Vérité, Beauchesne, Parigi 1952, pp. 22-3; tr. francese di Wahrheit, vol. i “Wahrheit der Welt”, Benzinger, Einsiedeln 1947.